Wednesday, June 29, 2005

Non e' Francesca

Mi son risolto che non poteva essere lei; troppo accondiscendente, capace nel linguaggio e stimolante in ogni senso, per essere una comunemente detta. Probabilmente ho vissuto in un sogno durato troppo tempo per lavarmelo via come un granello di sabbia, quindi non mi sorprendo piu' quando mi ritrovo, talvolta, a pensare a lei. Si, c'e' stata qualcun'altra nel frattempo, magari alcune le conoscete pure, ma nessuna di queste si e' mai impegnata tanto per vedere che cosa se ne poteva cavare da questo povero cristo. Ho ricominciato a scrivere grazie a lei; m'ha suplicato migliaia di volte di metter giu' quel che gli dicevo con disinvolta convinzione - quasi sovrapensiero- e, anche non comprendendo appieno i concetti espressi, m'esortava con forza a far vedere a tutti di che pasta posso esser fatto. A proposito: non sono io quello che scrive, sono solo le mie mani a farlo. Prima o poi ve le presentero'.
E non ho affatto vergogna d'affermare di essere stato innamorato di quegli occhioni supplicanti. Esigevano che ricominciassi a torturare l'intelligenza che non ho, portando su degli infami fogli i deliranti argomenti di un'anima persa. Non mi dispiace affatto sentire le lodi, convinte o di circonstanza, tessute su quel che porto al cospetto di tutti; sta di fatto che la rassicurante rotaia su cui mi pareva di procedere, ora traballa pericolosamente, lasciandomi intravedere il vuoto sottostante.
Chiamatela Francesca, Luisa o Marta, e non cercate di risalire al nome di colei a cui ho dedicato questo articolo perche' non saprete mai niente da me; sappiate solo che questo nuovo "me stesso" e' in buona parte anche opera sua. Nel bene e nel male. Un pozzo di cui non riesco a vedere il fondo.

Friday, June 24, 2005

Mon dieu (8)

Poche ore fa mi stavo buttando nel vuoto, senza prima sapere che il padre del mio salvatore ha fatto per un mucchio di anni il macchinista per le ferrovie di stato svizzere. Che mondo insolito. Questo pazzo non la smette piu' di parlare. La Cina ha dichiarato guerra alla Cambogia? E che mi puo' importare adesso? Si, la filosofia greca ci ha salvato da una possibile invasione mediorientale un paio di volte, ma siamo sicuri di averla scacciata per sempre? Non riesco ad intervenire: questo qui non la smette piu' di parlare. Continua avanti ed indietro dal paravento, comparendo con un oggetto diverso ogni volta. Una caffettiera svitante: m'avvisa che mi sta preparando un caffe', non aspettando una qualche mia risposta. Sento l'aroma inconfondibile, fuoriuscente da un pacchetto d'alluminio duramente sigillato, sterile, che s'affloscia al contatto con l'atmosfera riconquistata. Canta un motivetto di Mozart, scandendo per bene l'idioma tedesco. C'inframmezza la prosa del testo mentalmente ripetuto, facendomi capire appieno le intenzioni dell'ilustre. Mozart non mi e' mai sembrato piu' capibile. Adesso cambia ancora tonalita', tornando con un carrellino fumante al di qua del paravento. Come comincio a cogliere con la bocca le prime goccie di liquido fumante, abbraccia con le labbra un clarinetto e m'accompagna nel sossergio. Non sono ancora riuscita a capire niente, ma provo una beatitudine che non so spiegare.

Tuesday, June 21, 2005

Sbarre

Un'altra volta dentro, tra queste stanghe di ferro rugginoso. Non e' difficile entrarvici per me: quando mi vedono, non aspettano giustificazioni, mi prendono e mi caricano sul furgoncino blu. E basta.
Ed e' inutile arrischiarsi tra giri verbali complicati, temendo ad ogni parola di dire qualcosa di compromettente; inutile piangere copiosamente per suscitare pieta'; essi mi gettano tra queste stanze come una cartaccia nel cestino, senza alcun ripensamento di sorta. Non so se e' una reale incomprensione d'idioma, so soltanto che quando cerco di parlargli, i miei eterni carcerati non mi capiscono affatto. O almeno: sembra che non mi comprendino. Ma poco importa.
Anche alle famiglie cui mi affidano talvolta non risulto comprensibile: subito troppo premurose e poi, passato il disincanto del gioco appena scartato dalla carta in cui era contenuto, assolutamente indifferenti all'eccitante nuovo, divenuto noioso quotidiano. Ho passato una vita sballottato tra soffici cuscini e dure panche di legno. E' stato come vivere su uno jojo: salita vertiginosa e discesa infernale, con perversa costanza. Quando scopri di non essere mai stato amato, e' logico fuggire da coloro cui pretendono che tu sia riconoscente, solo perche' sei stato "salvato" dai loro soldi. Lasciatemi dove ero. Pensandoci bene, in fin dei conti la mia famiglia sta tutta qui. Tra queste quattro mura sghembe. Musi allungati e code irrequiete. Di cani in un canile.

La storia infinita

Si cresce soffrendo. Tutti i giorni, ogni ora, tutto e' un inutile palliativo nella speranza di poter continuare a vivere serenamente, giocando coi sentimenti con la stessa gioiosita' di un bambino sotto una colata lavica. Mangiamo fango, respiriamo bitume, e non c'accorgiamo di sprofondare al di sotto del ciglio stradale della vita. Ma la vita esiste? Potrebbe esistere, basta solo credere nell'esistenza di questa parola di senso incompiuto.
Io non ci voglio credere, soprattutto quando t'arrischi a non volerla piu' vedere per non soffrire ancora. Sono debole, si, sono un maledettissimo pan di spagna nel mondo ripieno di bocche affamate, sempre in balia di posizioni piu' grandi di me. Ma non potete togliermi la dignita' di essere me stesso.
E non potete risbattermela davanti di nero vestita, con quell'espressione ebete e sanguignolenta di una vacca in calore, compiacente a qualsiasi disquisizione verbale si possa intraprendere. Non la merito affatto, probabilmente le scelte su cui adesso mi dispero erano solo idealizzazioni senza capo ne coda, ma sono arcistufo di andare per vie traverse, onde evitare incontri spiacevoli per strada. Fanculo alla storia che non doveva esistere, fanculo anche a questa testa irrequieta. Fottetevi mani indegne di rappresentarmi. Non sono voi.
Credo che sia ingiusto giudicare la vita degli altri, perche' non puoi saperne proprio un cazzo della vita degli altri. Fanculo: mi fai ricordare di aver realmente vissuto solo per pochi attimi. La vita passata.

Monday, June 20, 2005

Serata di mezza primavera

Gli occhi sono ancora assonnati dalla serata precedente e la voglia di far qualcosa di nuovo ormai e' stata assopita: ci si prepara ad affrontare un'altra settimana. Nel marasma di emozioni deluse, l'unica cosa che riesci a decidere e' di andare a mangiare una pizza nel nuovo locale aperto a valle. Chiami qualcuno per vedere se ti puo' accompagnare e, raggruppato un bel mucchietto di materiale umano, carichi il tutto sulla tua vecchia macchina fresca di revisione. Il caos che si vuol formare non e' mai pienamente soddisfaciente, tutto comunque scivola via abbastanza fluido, lasciando in tutti i partecipanti una piacevolezza assonatamente gioiosa. Proprio all'ultima svolta, pochi chilometri prima di arrivare dove prefissato, la colonna di macchine segnala una interruzione nel traffico, non verificabile dalla posizione in cui vi trovate. Scendi dall'abitacolo alquanto indispettito, t'avii a vedere che possa esser successo e, arrivato in prossimita' del punto in cui la coda par troncarsi, vedi con chiarezza un lenzuolo bianco, al di sotto del quale si staglia chiaramente un corpo umano. Torni indietro frastornato, disagiatamente sciolto, ed annunci agli Ignari l'accaduto.
Porti la macchina sulla carreggiata di fianco, svoltando con veterana cura, immettendo la macchina sulla via del ritorno. La solita pizzeria con la solita compagnia. Perdonate il pessimo gioco di parole.

Thursday, June 16, 2005

Mon dieu (7)

E la ragazza se ne stava li, sdraiata a guardare lo scorcio di cielo, mentre la musica pian piano scemava nell'ombra, lasciando che gli ultimi istanti di vita sinfonicamente vissuta scivolassero dentro di lei.
Ma come un bellissimo sogno anche la musica cesso', portando con se l'atmosfera ancora in parte avvertibile nelle impercettibili, dolci scariche di sensazioni. Il ragazzo, il quale durante tutta l'esecuzione del pezzo era sembrato indifferente alla giovine, solo ora portava gli occhi al cospetto di lei, svelando in parte il valore della propria anima. Giornata solare, per certi versi spettrale, sembrava essere ritratta in quelle due pupille perlacee. Ad una prima vista poteva incutere timore tale stranezza. Ma non dopo quel pezzo.
Un sorriso ampio svelo' l'effettiva curatezza del proprio essere, cosa che spinse la ragazza a domandare quanto di piu' banale - e per certi versi appropriato - potesse adattarsi a quel momento.
Fu letteralmente un ciclone in fuga: scese repentinamente dallo sgabello, butto' l'ottone in uno dei qualsiasi luoghi scelti dal caso, andando a prendere qualcosa al di la del paravento. Un biscotto di grano duro, probabilmente abbastanza vecchio, comparve appigliato alle sue labbra. Un suo simile venne lanciato dal nulla verso la giovine. La ragazza venne presa in contropiede. La prima volta da quando era arrivata qui. A Parigi. La citta' degli artisti. La metropoli dei suicidi passionali.
Ed il ragazzo racconto' delle cose mai sentite. E le narro' di fronte ad un'incredula Claudia.

Tuesday, June 14, 2005

Somerset

Soffe di lana pressata, rigorosamente spesse; simpatici cani pulciosi gironzolanti per la casa che si scambiano le zecche con la perenne moquette; pance ripiene di liquido fermentato ribollente; guance sfatte da usi alimentari esagerati; conoscenza delle arti classiche di ottimo livello; e' questa la prima impressione quando si emigra per qualche settimana nel Somerset: lo zoccolo duro della cultura inglese, quanto di piu' anglosassone ci si possa immaginare.
Qui essere inglesi - non scozzesi, neanche irlandesi, solamente vera e pura epidermide inglese - e' una rivendicazione inapellabile, tanto da confinare i non autoctoni con nomignoli ricalcanti in ogni comune, quali "l'irlandese", o "il mangiatore di whiskey". Quando si viene a sapere che proprio da qui sono partiti i famosi, intrepidi, dilaganti coloni, visitare questi luoghi e' ancor piu' strano: case patrizie, citta' di chiara fondazione romana e una marea di casette tipicamente inglesi: gigantesche all'esterno ma, vista la perversa attitudine a riempirle di cabine telefoniche (loro le chiamano stanze), claustrofobiche all'interno. Penso che sia l'unico posto al mondo dove puoi startene comodamente seduto sulla tazza, aprire il doccino per farsi una doccia, lavandosi contemporaneamente le mani nel lavabo. Tutto questo pare un insulto al pensiero umano quindi, onde evitare improbabili rompicapi macchiavellici, mi decido a domandare ad uno di loro, ovviamente in uno stentato inglese (qui tradotto):"Scusi, ma come avete fatto a conquistare il mondo?". E il rude aborigeno che mi sta davanti con la pipa in bocca:"E' che eravamo curiosi di sapere quanto era grande il mondo". Fantastico.

Monday, June 13, 2005

Il pensiero

Il pensiero viene e va come un ruscello di montagna tra le rocce; talvolta impetuoso e straripante, talvolta assolutamente secco. Non sta a te alimentare lo sciabordio calcareo, nemmeno deviare il suo corso, al massimo puoi startene li a guardarlo vivere di vita propria dentro di te. Mentre lo guardi e l'osservi - naturale tentativo di decifrarlo -, puoi accorgerti quanto ti assomigli nei contenuti. Anche i piu' vorticosi giri di parole, aggrappati strenuamente a dei sensi quanto meno logici possibili, se guardati con occhio freddo ed indagatore, svelano frammenti rispecchianti l'essere di colui che li contiene. Tu.
E quindi non vi meravigliate quando vi sovvien un dolce tentativo di idealizzare amori impossibili: state solo cercando un motivo per avanzare ancora una volta nella vita, probabilmente a causa di una fresca delusione. Amorosa e non. Se state covando sogni di gloria, volete solo convincervi di valer qualcosa, magari per non smettere del tutto dall'intraprendere il vostro hobby preferito. Difficile e gratificante. In questo clima di profonda sfiducia, comprendente anche i pensieri lieti, a che ci si puo' appellare, allora? Ai sogni.
Non smettete di crederci perche', anche se possono sembrare assulutamente irrelizzabili ed improponibili, solo in quegli attimi potete staccarvi, seppur di poco, dal freddo suolo, e viaggiare per posti inenarrabili. Non e' male credere in un sogno. E poi: che costa sognare, dopotutto?

Sunday, June 12, 2005

Brennero: la speranza

Quel giorno le due amare strisce d'asfalto adagiate sul fondo della val d'Adige sembravano tacitamente accusare i due ignobili pellegrini sfreccianti. Due coniugi, morigerati ai piu', stavano scappando da un paese per cercar di compiere un miracolo: realizzare un sogno.
Si erano sposati una bellissima mattina di primavera, le rispettive famiglie avevano visto il tutto come un sicuro presagio ad un limpido futuro, e la luna di miele era stata quanto di piu' dolce ci potesse essere. Denaro ce n'era poco - erano molto giovani e di provenienza assolutamente normale - ma l'amore sbocciato qualche mese prima era rimasto immutato, distogliendo l'intenzione d'intenti dal fatto meramente utilitaristico. Non avendo aspirazioni future occludenti, avevano sin da subito cercato di produrre un dolce frutto del sentimento che li legava. Avevano provato per mesi, poi per anni, ma la dolcezza di uno sguardo nuovo non voleva saperne di svelarsi. Andarono da dei specialisti, scoprirono una rara malattia nel ragazzo, un demone perverso che uccideva il seme quando oramai aveva gia' fecondato il nucleo germogliante di lei. Non si persero d'animo - erano ancora giovani e rampanti - quindi s'adoperarono al piu' presto nell'avviare le pratiche per ottenere sorrisi gia' compiuti, abbandonati, di sicuro passato amaro. Sapevano tutto questo, ma speravano di infondere l'amore che li univa a quella semi-nuova vita. Purtroppo, non avendo il reddito da neo-nababbi, neanche questa possibilita' era a loro contemplabile.
Pianto, disperazione, gementi suppliche da parti dell'infame sterile affinche' la propria dolce meta' lo lasciasse definitivamente per un altro, efficacemente fecondo. Un riproduttore.
Ma la gioia del stare assieme tra di loro era troppo grande. Si informarono sui nuovi metodi: ci volevano molti soldi, ma non era un ostacolo per i due. E cominciarono a racimolare, lasciando lampi di gioia espressi solo in un mondo esclusivamente televisivo, venendo giornalmente derisi per la pochezza del loro avere. Erano sordi a tutto questo, sempre piu' forti man mano che la montagna di valori terreni s'ingrandiva. Il boato che segui' il raggiungimento dell'insperata salvezza non fu nulla al cospetto a quello della marmitta usurata che ne segui' subito dopo: adesso dovevano fuggire.
Fuggivano da un luogo spaziale dove non si era riuscito ad esprimere un giudizio in merito e che quindi, in un clima di vera indecisione, ogniuno sceglieva l'atteggiamento da adottare. Quasi sempre non comprendendo. Ma a loro non importava, volevano solo qualcuno a cui trasmettere dei valori reali, tangibili, nell'intento di portare avanti la storia infinita della creazione. Scappavano da non si sa chi. Da non si sa cosa. Scappavano comunque. Fuggivano nella speranza che la tecnologia li potesse aiutare.

Thursday, June 09, 2005

Mon dieu (6)

Di nuovo quella musica forte, dolce e potente, mi si insinua dentro facendomi pervadere le membra di uno spasmo quasi orgasmico. Non ce la faccio più ad inveire contro questa armata d'aria, non riesco proprio a farmela odiare.
E' questa colonna sonora che mi ha spinto fin quì; scelta tra milioni di pezzi, sin dalla prima volta che mi si è presentata all'udito ho capito che sarebbe stata per sempre. E' una cacofonia inversa eseguita da musicisti inesperti, quindi perfetta e istintiva come solo i bambini gementi sanno essere. La base dello stomaco oramai è diventato un ciottolo di fiume pesante come un macigno, caldo come una pentola sul fuoco, e la bocca semiaperta dallo stupore s'asciuga pian piano come un corpo madido di sudore esposto al primo sole primaverile. Allargo le mani, butto la testa all'indietro e lascio che la spinta gravitazionale porti il mio busto da dove l'avevo poc'anzi strappato. Sto guardando sopra quest'immenso letto di foglie germoglianti.
Un abbaino ricavato tra le spesse travature di questa soffitta volge lo sguardo verso il cielo notturno. Il pezzo musicale della vita e il cielo piangente di stelle di Parigi: come non cercar di pensare ad una possibile salvezza. Ad una via d'uscita. La mia.
Avverto le ultime impercezioni del suono caratteristiche, sicuro preludio alla fine oramai prossima: tra poco dovrò decidere che cosa voglio farne della mia vita. Non c'è mai stata occasione migliore. L'ultima.
Per decidere quale fulmine cotonato dovrà colpirmi ancora.

Wednesday, June 08, 2005

Esame della persona a fianco

Sono piacevolmente consapevole di non conoscere niente di quel che c'e' da sapere. Per oscuri motivi ancora a me ignoti, forze superiori mi hanno impedito di prendere in mano il libro, distogliendomi da quel che dovevo fare. Ho cercato di concentrarmi ma, riconosciuta la manifesta superiorita' dei miei immensi avversari interiori, sono andato a rifugiarmi nei locali notturni tutte le sere per affogare la mia disperazione in alcool e balli. Quant'e' dura la vita dello studente. Insostenibile ai piu'. Entriamo e vediamo che se ne puo' fare. Sono svuotato come una cozza spolpata.
Benissimo, una la so - rimasuglio di esperienze scolastiche passate - ma delle altre nemmeno l'ombra di un'idea. Vediamo che sanno gli altri qui attorno. Alzo la testa. Bene: il prof sta gesticolando sul suo terminale e non sembra badare ad altro. Attorno a me non c'e' poi molto: persone perse negli inimmaginabili flutti del mare di latte che si stende inesorabilmente sotto di loro. Aspetta aspetta, questo qui sembra saperne piu' degli altri: s'e' appena gettato sul foglio con forza inaudita. Scrive come un forsennato: decisamente sa. Lo chiamo.
Bum. Batto sul banco. Bum. Un'altra volta ma non si scompone affatto. E' un duro, provo piu' forte. Bum. Ha alzato lo sguardo: mia espressione standard di un naufrago alla deriva. Niente, primo approcio fallito. Bum. E dai, rialza quella testa! Bum. Ha girato il foglio, e chi lo ferma piu'? Bum. Ma che ti costa darmi retta? Bum Bum. Non credo a quel che ho visto: se mi rida' retta so come convincerlo. Bom. Ho appena cambiato superfice su cui battere: adesso picchio la gamba del tavolo. Bom. Questa volta c'e' mancato veramente poco: il prof ha alzato lo sguardo, forse si e' accorto che in aula c'e' un percussionista. Bom Bom. Questo qui le ha fatte tutte, adesso sta rimuginando inutilmente. E dammi retta! Bom. Il prof si e' alzato, niente paura. Adesso batto con la nocca sul tavolo. Toc. Si e' messo le mani nei capelli. Bene, non la sa. Toc. E' disperato: l'avverto. Toc Toc. Che si sia riaccorto finalmente di me? Forse si. Aumentiamo. Toc toc toc. Ciao bello! Guarda che cosa ho qui? Hai visto bene? Peccato tu non ce l'abbia... Mi volto nella speranza di una risposta. Aspetto un po'. Ancora un altro po'. Tic. Mi amo quando capita! Parte la contrattazione.

Esame di una persona studiata ma non troppo.

Ho studiato come un cane rinsecchito, mi sento le mebra tese in ogni punto e la mente, questa figura informe che galleggia nel mare di formule e dimostrazioni, mi supplica di essere sfogata sul foglio bianco che trovo davanti. Sono nel bel mezzo di un esame. Le prime domande non le vedo neanche, tanta e' la velocita' con cui rispondo, e le successive passano senza destarmi nessuna preocupazione. Sono un killer spietato, sicuro di quel che sto facendo accadere.
Bum. Un'altra fatta, passo al foglio dopo. Bum. Facile questa, quasi banale. Bum. Alzo lo sguardo per un attimo: quello vicino a me guarda quello che sono faticosamente diventato con sguardo supplichevole. Io ho studiato, che vuole questo? Bum. E vado ancora avanti, mi sembra di essere uno schiacciasassi lanciato a folle velocita': nessuno mi puo' fermare. Verreste travolti. Bum. Facile, facilissimo. Passo alla prossima pagina. Due alla fine. Bum. Le prime due eseguite con successo, sono esatte e mi appresto a fare l'ultima della pagina. Bum Bum. Questa non me la ricordo bene, meglio che passi e che ci ritorni dopo. Bom. Facile facile facile: easy! Bom. Torno a quella maledetta che non ha voluto inchinarsi al cospetto di me medesimo: non mi sfuggira'. Bom Bom. Cerco ancora nel pozzo della mia memoria colma. Impossibile che non ci sia. Bom. Non sembra esserci, forse e' nascosta da qualche parte nelle opzioni degli argomenti. Toc. Non c'e' neanche qui, do un ultima controllata. Toc. Non c'e' proprio: impossibile arrabattarcisi, e' qualcosa di troppo specifico. Toc Toc. Ma che vuole questo? E' tutta l'ora che continua a battere! Alzo lo sguardo infuriato. Toc Toc Toc. Ha risposto ad un unica domanda. E' l'unica di cui non so rispondere. Che disdetta. Adesso lo chiamo battendo la penna sulla calcolatrice. Tic. Si e' girato. Parte la contrattazione.

Monday, June 06, 2005

Cambiamento della trattazione

La grande differenza del pensiero attuale rispetto a quello classicamente inteso, e' l'estrema rapidita' con cui viene elaborato. A tuti noi, infatti, oramai pare estremamente noioso stare ad ascoltare qualche ora di trattazione di un argomento; meglio un riassunto sintetico per punti, in modo tale da imprimere solo lo strettamente necessario, senza inutili fonzoli. Molti di voi sosterranno che questo metodo e' strettamente collegato al bombardamento del progresso lanciato in una folle corsa, altri diranno pure che "la noia vien solo sugli argomenti giudicati non interessanti". Tutto vero, niente da obbiettare.
Soffermiamoci un secondo, lasciamo che la gente scorra attorno a noi come un film, guardiamo le espressioni dei nostri simili: mamme coi propri bambini in braccio, fidanzatini ben stretti e spot pubblicitari.
A questo punto un dubbio sovviene feroce: vuoi vedere che, nell'impossibilita' di poter spiegare il concetto con le parole appropriate, bisogna cercare di giocare su un terreno piu' rischioso? Nel futuro non si procedera' piu' per pensieri svolti ma per sentimenti indotti: metodo efficace quanto oggettivo, mai imputabile di una certa qual fiacchezza nell'interesse. Procederemo per sentimenti, per emozioni, essenzialmente perche' oramai non ci fidiamo piu' delle parole dette. Sempre fraintese.
Provate a farvi tornare in mente il disastro delle torri gemelle; e poi domandatevi se lo ricordate piu' facilmente per quello che avete sentito in fondo allo stomaco o per l'infinita' di programmi che l'hanno cercata di spiegare...

Lunedi'

E siamo di nuovo all'abituale spazio temporale dedicato alla racimolazione di quel che rimane delle illusioni del sabato sera; dei bistrattamenti fisici del fine settimana. Nel disincanto del "the day after", ti riscopri terribilmente umano quando guardi nel fondo di quel caffe' che ti porgono la mattina, come spinta iniziale per essere nuovamente quel che eri nei trascorsi sette giorni. La mente ricomincia a funzionare nuovamente, ora non piu' soffocata dal trambusto macchiavellico in cui sei andato a cacciarti nell'ultimo giorno e mezzo.
Per chi scrive, chi decide quindi di spalmare la propria mente su un foglio di carta, questo giorno e' l'abitudinaria lotta contro l'esubero di idee accumulatisi. E' veramente difficile cercar di scrivere il Lunedi', soprattutto perche' non sai veramente che scrivere: i pensieri si accavallano gli uni sugli altri, bisticciando tra loro, non degnando di uno sguardo chi li contiene. Che li vuole capire. Che li vuole decifrare. Difficile carpire il significato di una lotta, quindi non ne parliamo di cercare un senso tra i contendenti.
Arrivati al giorno dopo, come in ogni torneo che si rispetti, all'incredibile zuffa ne escono dei vincitori. Pure dei vinti, che si mettono ben in fila ad aspettare il proprio turno al farsi comprendere.
Una democratica ricerca del piu' forte attraverso una sleale massacrata. Non il migliore, solo il piu' forte.

Thursday, June 02, 2005

Mon dieu (5)

E va bene, mi decido a rispondergli; qualcosa del tipo: "ma che cazzo vuoi tu da me", sperando che comprenda a fondo la mia storia inenarrabile. Sette parole per riassumere il tutto? Sette nani di spiegazione. Anche i peccati capitali. Glielo dico in italiano, in un impreciso inglese, poi in un orribile francese imparato in quel momento di slancio passionale che m'ha portato qui. Ha compreso? Non so, forse non e' poi neanche tanto normale questo uomo, magari adesso cerchera' di usarmi brutalmente come tutti quelli che si son trovati in una situazione analoga. Maledetta mia testa, dovevi suggerirmi di legarmi alla vita un bel masso pesante. L'unico accorgimento onde evitare inspiegabili aiuti. La prossima volta mi faro' esplodere le cervella con un bel fucile. Ma dove lo vado a prendere un fucile qui? In quella casa lasciata tempo fa, custodito in un grosso cassetto chiuso a chiave, ci sono dei bei bastoni di legno e metallo lustro. Ben oliati. Cavi. Da riempire. Da far sfogare. Su di me. Ma la casa e' lontana. Impossibile tornarvici.
Probabilmente non ha compreso, infatti se ne va al di la del paravento. Andra' a prendere dei guanti di lattice: gli stupratori professionisti sanno che anche un capello puo' tradirli. Mi saettera' l'animo ripetutamente e poi mi gettera' finalmente nella Senna. Magari in pasto ai porci, sempre che ce ne siano in un raggio accettabile. Se e' un ulteriore passo verso il nulla, ben venga. E' tornato. Non ho paura.
Non vuole essere clemente con me, non vuole neanche toccare queste sode carni donategli dal caso. Si limita a sedere su quell'alto scranno e a portare alla bocca l'ottone tenuto in mano. E' un sassofono.
Questa non ci voleva.