Sbarre
Un'altra volta dentro, tra queste stanghe di ferro rugginoso. Non e' difficile entrarvici per me: quando mi vedono, non aspettano giustificazioni, mi prendono e mi caricano sul furgoncino blu. E basta.
Ed e' inutile arrischiarsi tra giri verbali complicati, temendo ad ogni parola di dire qualcosa di compromettente; inutile piangere copiosamente per suscitare pieta'; essi mi gettano tra queste stanze come una cartaccia nel cestino, senza alcun ripensamento di sorta. Non so se e' una reale incomprensione d'idioma, so soltanto che quando cerco di parlargli, i miei eterni carcerati non mi capiscono affatto. O almeno: sembra che non mi comprendino. Ma poco importa.
Anche alle famiglie cui mi affidano talvolta non risulto comprensibile: subito troppo premurose e poi, passato il disincanto del gioco appena scartato dalla carta in cui era contenuto, assolutamente indifferenti all'eccitante nuovo, divenuto noioso quotidiano. Ho passato una vita sballottato tra soffici cuscini e dure panche di legno. E' stato come vivere su uno jojo: salita vertiginosa e discesa infernale, con perversa costanza. Quando scopri di non essere mai stato amato, e' logico fuggire da coloro cui pretendono che tu sia riconoscente, solo perche' sei stato "salvato" dai loro soldi. Lasciatemi dove ero. Pensandoci bene, in fin dei conti la mia famiglia sta tutta qui. Tra queste quattro mura sghembe. Musi allungati e code irrequiete. Di cani in un canile.
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