Monday, May 23, 2005

Peccato

Ti sei allenato duramente, la gara che ti appresti a fare e' il punto culminante della stagione agonistica. Le gambe sono pronte, agili e scattanti. Non aspettano altro che il via. Gli addominali sono ben sviluppati, le braccia proporzionate a arte e la testa, quel groviglio di pensieri inestricabile, ora e' un campo di battaglia spoglio. Calma piatta. Mortale quiete. Teso riposo.
E' l'ora; lo starter chiama tutti i concorrenti ai loro posti, i blocchi sono stati posizionati con meticolosa cura, quasi certosina nell'imperfezione del gesto, quindi non ti stupisci che s'adattino cosi' bene alla posizione iniziale dello sforzo. Quello sforzo voluto, richiesto dai duri allenamenti cui ti sei sottoposto.
Ha chiesto di posizionarsi. Fatto. Ha chiesto il silenzio dal pubblico. Fatto. Intima a noi di restare con le mani dietro la riga di portenza. Ci sono. Dice di essere pronti, c'intima di stare all'erta perche' la partenza e' pronta.
Sei in posizione, piacevolmente teso, e i muscoli sono contratti al massimo nell'attesa dello sparo. Proprio quando pensi a questo, il destino fa partire lo sparo traditore: gli altri partono. Tu resti, seppur per alcuni millesimi di secondo in piu', incollato alle pedane.
Ti vien da gridare, di implorare a qualche dio di far tornare indietro il nastro della storia. Mastichi amaro. Lo sforzo c'e', ma e' tutto inutile: se ne sono gia' andati. Arrivi in qualche modo. T'accasci al suolo, non perche' sei esausto, ma perche' sai di aver perso un occasione. Di provare a competere con gli altri.
Eterno secondo.

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