Mon dieu (3)
Riapro questi occhi non piu' occhi - forse l'ultima -, per sapere il responso sul breve passato, e quindi la direzione del prossimo, eterno futuro. Questo emissario di Dio, o comunque l'incaricato a svolgere questo genere di pratiche nell'aldila', sta davanti a me. Non credo che questa sia la sua vera forma, non puo' scostarsi di cosi' tanto dalla narrazione classica: davanti a me un ragazzo, di forse venticinque anni, seduto su un alto sgabello. Di quelli che puoi trovare davanti al bancone di un bar. Ha una gamba sul piolo del piedistallo su cui sembra aggrapparsi e l'altra, quella a terra, batte il tempo di quello che sgorga dall'ottone. Sta suonando un sassofono.
Non e' jazz, nemmeno blues, piuttosto una calda e corposa armonia di passi lentamente ritmati, che entrano dal naso e vanno a finire in fondo allo stomaco. Alla base, dove veramente si riesce a capire l'arte. Dove il magone che si forma sembra sempre piu' grande di quel che e'. Dove l'emozione e' difficile da classificare. Dove ci si sente vulnerabili.
Non riesco a decifrare appieno il messaggio, forse dovrei intuire qualcosa da questo enigmatico swing. Forse dovrei smetterla di farmi delle domande. Ha smesso di suonare, sembra che m'abbia sentito, adesso si e' voltato verso di me e sorride. So che deve darmi una sentenza definitiva, spero solo che sia adatta a quello che ho fatto. Non voglio pieta', voglio solo il giusto.
Sulle cose che ho fatto e su quelle che stanno accadendo.
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