Wednesday, October 26, 2005

Don DeLillo

DeLillo è stato una folgorazione. Di già il nome, Don, suggeriva una certa reverenza, se poi s'aggiungeva la provenienza americana - culla dell'attuale centro culturale mondiale -, mi ponevo pochi dubbi in merito all'acquisto fatto: Underword.
L'avevo comperato in una bancarella in un paese vicino a Latina, sul mare, in una serata in cui la prosaicità del giallo lampione imperversava sul tutto. Di libri ce n'erano molti, spessi e sottili, ma una vocina interiore mi aveva indirizzato sin da subito verso quel tomo. Abbastanza alto, abbastanza serioso, potenzialmente palloso. Lo comperai, insomma, ad una cifra modesta da un ragazzo assolutamente anonimo. Originale? Perverso? Leggendario? Lasciamo stare...
Lasciai il libro a se stesso - dovevo leggere dell'altro al momento -, di modo da abituarlo ai miei ritmi, e quando fu il suo turno, mi accolse preparato. Era io che non lo ero.
Avevo letto di tutto, dal russo all'americano, il francese e il colombiano, d'ultima stampa come di millenaria fama, ma niente di così imprevisto. Non è un Palahniuk, sia chiaro, è più sottile e di stile, ricco come re Salomone ai tempi dei templari. Sostanzialmente mi ha scombussolato, sconquassato, tirato e divelto in lungo ed in largo. Alla fine, come un amante sopraffatto, l'ho chiuso e l'ho gettato in un luogo lontano. Forse fuori dalla finestra. In un tritarifiuti. Sotto la pioggia imperversante. In mano a mio cugino. Ripromettendomi di non voler più mettere occhio su quelle pagine.
Non riesco più a trovarlo: mi sento svuotato come una cozza al sole.

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